Metamorfosi

Le opere in mostra

È la sezione storica dell’evento. Quest’anno si tratta di un progetto che si è posto l’obiettivo di individuare alcune aziende che hanno avuto la necessità, l’opportunità, la capacità e il coraggio di trasformarsi.


a cura di Anty Pansera e Angelo Cortesi


Questo progetto/ricerca si è posto l’obiettivo di individuare alcune aziende che hanno avuto la necessità, l’opportunità, la capacità e il coraggio di trasformarsi,passando da una tipologia produttiva ad un’altra e/o di modificare la propria attività: dall’essere produttore per conto terzi all’operare da protagonista, mettendo a punto una propria, nuova identità ed una autonoma linea di oggetti. 
Buona parte di queste trasformazioni è dovuta a nuovi ritrovati tecnologici o a particolari invenzioni,  ma la maggior parte alla progettazione: è insito nel “fare design”, infatti, il desiderio di modificare, migliorare, trasformare, attualizzando aziende e/o prodotti, adeguandoli all’attualità culturale o semplicemente al mercato. 
Con questo approccio metodologico si è così effettuata una prima ricerca ed analisi su alcune interessanti case history, con l’obiettivo di selezionarne dieci di valore emblematico – a non sovrapporsi tipologicamente – mettendo in scena e mostrando il prodotto iniziale contrapposto allo spesso più conosciuto oggetto della trasformazione. 
Ad integrare e a meglio motivare queste scelte, brevi “storie” aziendali raccontano la “favola” di queste traslazioni, meglio “metamorfosi”, l’allestimento contribuisce a mettere in evidenza “l’unità e la diversità della stessa impresa”.

Le dieci “case history” di Metamorfosi


Alcune attività e materiali messi a punto durante gli anni Trenta, e finalizzati a commesse belliche, sono stati felicemente “riconvertiti” dopo il secondo conflitto mondiale e sono stati addirittura protagonisti di “rivoluzioni” del sedersi (ovvero della modalità di realizzare le sedute, affrancandole dalla mano del tappezziere) e del comfort: quella gommapiuma (poliuretano espanso) che Pirelli aveva utilizzato per proteggere i serbatoi degli aerei dagli spezzoni incendiari, coniugata con il nastro elastico. Si è così innovata la progettazione e la realizzazione di divani e poltrone grazie a designer già affermati come Franco Albini e “saranno famosi” come Marco Zanuso (del 1950 la poltrona Lady, assemblata in 4 pezzi e realizzata interamente in gommapiuma), ma anche, poi, più recentemente, un prodotto come la Marenco, di Mario Marenco, 1970, un sistema rivoluzionario per assemblare i cuscini e i braccioli alla base, e dunque ad aziende come Arflex e Tecno. 
Gommapiuma rivisitata anche per il mondo del giocare, dalla sapiente creatività di Bruno Munari che, per Pirelli-Pigomma, mise a punto il Gatto Meo Romeo prodotto nel 1949, e, quattro anni dopo, la Scimmietta Zizì, che gli avrebbe fatto vincere il Compasso d’Oro del 1954. “Quando un gatto è morbido, liscio, pulito; quando lo puoi mettere in molte diverse posizioni e lui ci sta, quando non fa la pipì in nessun luogo, non devi curarlo, non devi dargli da mangiare e poi, dico, quando ha i baffi di nailon, cosa vuoi di più? Che cosa gli manca, infatti, a Meo Romeo?” – lo descriveva Munari, sottolineando poi che – “Gli manca la voce, lo so, ma anche alla Gioconda. E la Gioconda non è morbida al tatto, è immobile, non puoi farla voltare. Meo Romeo è il nuovo gatto di gommapiuma ideato per i bambini moderni. Grande poco più di un palmo, misura simile alla statura dei gattini da poco nati, Meo è un gatto nero con occhi gialli…”.


Piaggio (azienda aeronautica fondata nel 1915) e Innocenti (azienda metallurgica e meccanica fondata nel 1933, specializzata nella fabbricazione di elementi in ferro per ponteggi, i famosi tubi Innocenti in acciaio), riutilizzarono invece ormai inutili componenti aeronautici e non solo, per mettere a punto mezzi a due ruote dal rivoluzionario assetto di guida, felice risposta alle nuove necessità di motorizzazione per la popolazione nell’immediato, per permettere dunque agli italiani di ricominciare a muoversi: ed ecco gli scooter più famosi, entrambi progettati da ingegneri aeronautici, da Corradino D’Ascanio la Vespa, da Cesare Pallavicino e Pier Luigi Torre la Lambretta. 
La Vespa (il cui nome richiama la sua ‘vita’ sottile, ma di fatto è l’acronimo della denominazione Veicoli Economici Società Per Azioni), esce tra il 1946 e il 1947 dagli stabilimenti toscani di Pontedera della Piaggio: a carrozzeria portante, con forma chiusa tondeggiante, le prime serie furono motorizzate con l’utilizzo dei motorini di avviamento degli aerei; nel progetto da segnalare anche quelle innovazioni tecniche che derivano proprio dalla progettazione aeronautica, come le ruote a sbalzo, le sospensioni anteriori a monobraccio, il motore posto lateralmente alla ruota, il cambio a rotazione sulla manopola sinistra. 

La Lambretta (1949-50) è nata sulle rive del milanese fiume Lambro, da cui prese il nome, in quella fabbrica di tubi d’acciaio bombardata e completamente distrutta durante la Seconda guerra mondiale e che, prendendo ispirazione proprio dai motorscooter militari americani giunti in Italia al seguito delle truppe alleate, vide nello scooter la possibilità della propria riconversione post-bellica. A struttura tubolare portante, i primi modelli della Lambretta furono caratterizzati dalla “carrozzeria scoperta”, il motore disposto in posizione centrale. Più aggressiva e giovanile rispetto alla rivale, era acquistabile addirittura a rate.


Columbus, fondata nel 1919 da Angelo Luigi Colombo, consorella dell’industria metallica A. L. Colombo, specializzata nella produzione di tubi metallici, fra l’altro, adottati in campo aeronautico o per costruire biciclette. Proprio questa particolare competenza permise la produzione di arredi in tubolare metallico, progettati dall’ufficio interno ma anche da architetti come Giuseppe Terragni, Figini e Pollini, Piero Bottoni e Giuseppe Pagano. Mobili metallici di alta qualità progettuale e costruttiva, destinati ad arredare edifici razionalisti e/o allestimenti; dalla Casa del Fascio di Como progettata da Terragni, al padiglione futurista di Enrico Prampolini alla V Triennale di Milano, alla sede del giornale “Il popolo d’Italia” di Pagano. Dagli anni Sessanta Columbus continua l’attività del tubificio, producendo telai di bicicletta dalle elevate e raffinate prestazioni, utilizzando materiali come speciali acciai e fibre come il carbonio. L’acquisizione di Cinelli (1948) da parte di Antonio Colombo, nel 1978, ha permesso l’inizio di un nuovo corso e l’esordio su pista e strada di biciclette all’insegna del design più avanzato, molte di queste firmate da Alessandra Cusatelli.
Anche Kartell, azienda di trasformazione delle materie plastiche, nata nel secondo Dopoguerra (1949) per la produzione dedicata ai laboratori chimici, dai primi anni 50 sviluppa alcuni prodotti di successo per uso domestico, per passare gradualmente ed esclusivamente a prodotti di arredo di alta gamma, quasi “spezzando” il passato e innovandolo con intuitiva spregiudicatezza: fondata dall’ingegner Giulio Castelli (1920-2006), allievo al Politecnico di Milano di Giulio Natta (1903-1979), contribuisce a ripopolare le cucine e gli interni grazie alla “plastica”.
Forme e colori inaspettati, costi contenuti, caratterizzarono quei casalinghi, oggetti di sempre: dal secchio al portaimmondizie, dallo scolapiatti al battipanni, disegnati dai suoi amici architetti, da Anna Ferrieri (1920-2006), che diventerà sua moglie, a Gino Colombini (1915), a Roberto Menghi (1920-2006); e non fu che l’inizio di un’avventura straordinaria, che prosegue ancora oggi, con sempre nuove tipologie e progettisti.

Una significativa avventura, in più piccole dimensioni, traspare anche dalla storia di Danese, nata a Milano nel 1957, che riconduce alle figure di Bruno Munari e di Jaqueline Vodoz, che hanno prodotto/editato oggetti caratterizzati dall’essenzialità funzionale e comunicativa. Fondamentale “collaboratore” Bruno Munari, al quale si debbono straordinarie intuizioni. Il suo desiderio di realizzare una lampada di grandi dimensioni, ma che per il trasporto occupasse poco spazio, lo condusse a riferirsi alle aziende che producevano tessuti tubolari ed elastici, in particolar modo alle aziende che realizzavano calze femminili.
Ed ecco la lampada da soffitto tubolare Falkland (1964), che si caratterizza per il suo accentuato verticalismo, grazie proprio a un lungo tessuto elastico (da qui il suo secondo nome, Calza), scandito da anelli metallici di diverso diametro. Oggi è Carlotta De Bevilacqua, designer e imprenditrice, che “continua” in questo virtuoso percorso.


Agli inizi degli anni Sessanta, il pesarese Vittorio Livi, formatosi al locale Istituto d’Arte, costituisce una serie di piccole botteghe/laboratori per produrre vetri decorati per la nascente industria del mobile locale (Fullet, Artiglass – produceva vetrate artistiche –, Cromoglass – i primi vetri riflettenti –, Curvovetro che faceva vetri  bombati): esperienze che portano alla fondazione, nel 1973, di Fiam, prima azienda capace di realizzare elementi d’arredo in cristallo curvato, materiale estremamente complesso dal punto di vista chimico e fisico, ma dalle grandi possibilità/potenzialità. E se si inizia operando per conto terzi, dal 1976, coniugando sapientemente processi artigianali e industriali, e declinando tradizione e innovazione, Fiam ha saputo individuare una nuova/propria strada ed imporsi come brand autonomo. Una trasformazione che si è avviata e compiuta grazie al design: ed ecco una articolata produzione di prodotti per l’arredamento (in particolare tavoli e tavolini ma anche librerie… e, più tardi, un archetipo come la poltrona Ghost di Cini Boeri, 1987) sviluppatasi attraverso la collaborazione di prestigiosi designer e la magia del vetro curvato continua a suscitare magiche sorprese e a riscuotere un successo internazionale.


Viene da Oltralpe, invece, una storia di più “riconversioni”. Nel 1883 i fratelli Vorwerk fondarono in Germania la Teppich-Fabrik Vorwerk&Comp per produrre telai e tappeti, brevettando nel 1887 quel telaio a pinza che, per errore, produsse un tessuto intrecciato simile a quello dei prestigiosi tappeti persiani tessuti a mano: le nuove tecnologie e prodotti avranno un significativo riconoscimento nel 1904 alla St. Louis Word’s Fair. Quando poi un rovinoso incendio mise in ginocchio l’azienda, l’officina di riparazioni interna non solo la riattivò in breve tempo, ma individuò poi una propria autonomia produttiva, per produrre, dal 1908, sofisticate ruote dentate, pezzi di precisione per ingranaggi e cerniere conto terzi. La Prima guerra mondiale impone la riconversione del comparto tessile (si fabbricano zaini, tende di tela e bisacce per le truppe), mentre quello meccanico progetta e realizza una brandina portatile da campo indispensabile per le truppe. Ma ecco anche, per necessità, la produzione di armamenti (lanciatori, artiglieria, involucri per proiettili e granate), dismessi i telai per far spazio ai macchinari necessari: si entra nel settore metallurgico. A seguire, ecco articoli per la crescente industria automobilistica, ma soprattutto le unità di azionamento manuale dei grammofoni, una tecnologia presto obsoleta: dal 1925 infatti la radio e la diffusione dell’elettricità modificano il mercato.


Vorwerk, ancora con lungimiranza, apre un laboratorio per lo sviluppo di motori miniaturizzati, entrando nell’industria elettrica, ma la crisi del 1929 porta sull’orlo del fallimento, finché il centro di progettazione, sviluppo e produzione di macchine guidato dall’ingegnere Gorissen utilizza i piccoli motori elettrici per lo sviluppo di un nuovo tipo di elettrodomestico, l’aspirapolvere. Di fatto una scopa elettrica molto maneggevole e semplice da usare (brevettata il 25 maggio 1930) che, proprio per queste caratteristiche, «È un piccolo “Kobold”!» (in italiano, appunto, “folletto”), trovò la sua denominazione, emblema del successo della società ancora oggi, grazie alla sua particolare distribuzione ma soprattutto per le continue innovazioni tecnologiche e formali, dalla parte del design, dunque, ad arrivare a quel Folletto VK200 capace di identificare automaticamente le superfici, regolare l’aspirazione con un basso consumo energetico, e rispettando l’ambiente che ci circonda. 
E viene ancora dalla guerra, meglio dalla raffinata produzione della Reale fabbrica d’armi di Torre Annunziata, la più grande fabbrica d’armi del Regno delle Due Sicilie, fondata nel 1758 per volontà di Carlo di Borbone (per rendersi autonomo dalle forniture militari straniere), che dopo l’unificazione italiana fu progressivamente declassata a Spolettificio. La rivitalizzazione, all’insegna del design, di una riconversione era già stata avviata più di due secoli fa. Proprio le storiche capacità tecniche della meccanica di precisione delle armerie, avevano consentito l’apertura, la diffusione, il successo, nello stesso contesto territoriale campano, di botteghe artigiane che hanno prodotto per decenni le trafile per i pastifici. 
Nella storia della produzione delle armi da fuoco, che si era affiancata localmente allo sviluppo dei mulini e dei pastifici, se l’innovazione è stata nella rigatura interna elicoidale della canna di sparo, ben si motiva il perché delle ricerche locali per la realizzazione di formati di pasta (corta e lunga) e di collaudi (relativi all’essiccamento, tenuta di cottura e quantità di assorbimento dei condimenti…) e quel diventare Torre Annunziata, già alla fine dell’Ottocento, un immenso pastificio che assorbiva il 60% della forza lavoro locale, capitale dell’arte bianca. Ma anche questa è una storia che si chiude alla fine degli anni ‘50, quando non ci si seppe rinnovare, non solo tecnologicamente. Ma il Pastificio dei Fratelli Setaro, attivo dal 1939, a conduzione familiare e apprezzato da una clientela di “intenditori”, ha ancora in uso per la produzione corrente una trafila in bronzo su impianti storici marca Braibanti IV Serie, che si caratterizza per il suo un profilo cavo, con rotazione elicoidale delle rigature interne. Dalla dimensione minima del diametro sono state elaborate infatti le lunghezze dei vari formati con l’impiego della sezione aurea e se già Susanna Agnelli aveva “disegnato” per il Pastificio quelle Colonne di Poppea, per reperire fondi per fini benefici, l’ultimo progetto, datato 2011 – una nuova trafila –, denominata Canna di Fucile disegnata da Michele Cuomo, è stata insignita del premio “ADI Compasso d’Oro International Award” dedicata per il 2015 al tema ‘Design for Food and Nutrition’. In giuria i designer Ron Arad, Denis Santachiara, Daniela Piscitelli, il giornalista Aurelio Magistà, i docenti Livia Pomodoro e Paolo Sorcinelli. La motivazione recita: “La forma e la lavorazione della pasta, oltre a richiamare un’antica tradizione industriale (richiamo che vale anche da auspicio al recupero urbano e alla riqualificazione sociale degli spazi di lavoro), presenta una marcata linea d’innovazione gastronomica. Infatti la rigatura elicoidale propria della canna dei fucili si propone in questo caso come una specificità finalizzata a dare struttura alla pasta e a trattenere e conservare meglio i sapori dei sughi. Nella pasta a ‘canna da fucile’ si fondono con equilibrio forma e funzione, design e gusto”.
La nuova trafila è stata pensata e voluta come primo “omaggio” dell’ultimo dei pastifici di Torre Annunziata alla Real Fabbrica, oggetto di un progetto di riutilizzo e riqualificazione urbana, elaborato nel 2010 dagli arch. M. Cuomo, A. Mariniello e L. Piemontese, e condiviso con Centri Universitari di Ricerca e Consorzi Locali. Anche questa pasta denominata “Canna di Fucile” viene prodotta solo per eventi ed aste benefiche il cui ricavato è finalizzato alla costituzione della Fondazione “Terre di Oplontis”.


Da sottolineare come il sito della Real Fabbrica è legato alla “storia” dell’archeologia classica vesuviana: la realizzazione del Canale Conte di Sarno nel 1599, un progetto di Domenico Fontana, architetto del Re, scopre prima l’antica Pompei e poi Oplontis: ma non si rende pubblica la notizia, e da quel momento tutte le aree “sensibili” divennero proprietà reali. Il canale era stato realizzato per fornire energia idraulica a tre nuovi mulini in linea: due di essi, nel 1756, saranno inglobati dalla nuova Real Fabbrica degli Schioppi, un progetto impostato da Luigi Vanvitelli, architetto del Re, e realizzato da Francesco Sabatini.

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